martedì 3 luglio 2018

L'ascolto del presente

Spesso pensiamo che il nostro cammino debba essere per forza il risultato di complicate "formule matematiche" in cui perdersi nel tentativo di risolverle o arrendersi ad esse perché convinti che non ci sia soluzione...
Soprattutto in certi ambienti, l' austerità, la rinuncia, il seguire rigide regole scritte da qualcun altro in altri periodi storici, ci da l'illusione di evolvere da un punto di vista spirituale. 
Ma in realtà stiamo solo seguendo uno schema che spesso ci allontana ancora di più dal vero sentire... A volte ci creiamo una campana di false credenze dalla quale sputare giudizi e sentenze su chi non fa il nostro stesso percorso, sentendoci superiori a tutto e tutti, solo perché magari sappiamo qualche mantra a memoria o leggiamo testi sacri. Ma questo non ci rende spirituali ma solo intellettuali. In più la campana ci impedisce di coltivare l'empatia. La percezione della spiritualità può arrivare nei modi più impensabili e di certo non segue schemi rigidi razionali del tipo non   puoi fare questo o quello,  non puoi, non puoi, non puoi... Tutte queste negazioni creano vibrazioni dissonanti che ci allontanano dalla centratura. L'importante è non diventare schiavi delle nostre azioni e pensieri. Vedo molto più equilibrio nel concedersi un caffè o una birra ogni tanto rilassandosi, che vivere mangiando ghee... poi ovviamente ogni scelta è soggettiva ma se questa scelta impone il doversi troppo forzare per mantenerla, si sta creando rigidità invece di  fluidità. 
Anche nello Yoga tutte le regole e precetti non dovrebbero essere seguiti solo perché ce lo ha detto qualcuno o lo abbiamo letto. Cosa pensiamo noi veramente? Cosa sentiamo vibrare alla nostra stessa frequenza e cosa invece percepiamo come "stonato"? Questo ci dovremmo chiedere. Altrimenti si rischia di diventare semplici esecutori. In realtà siamo ciò che crediamo di essere... e sopratutto ciò che crediamo influenzi la nostra realtà crea la nostra proiezione di essa. Abbiamo la possibilità di camminare fuori dagli schemi fluendo in armonia con il nostro essere. Non esiste una realtà uguale per tutti. Ognuno ogni giorno coltiva la propria. Ma il problema è che la coltiviamo con i semi del passato o pensiamo già ai frutti del futuro. In questo ci perdiamo la vera illuminazione...  il presente, il qui e ora. Mi accorgo che spesso si passa la vita seguendo complicate religioni, percorsi spirituali, manuali esoterici che invece di renderci la vita semplice e fluida ce la riempiono di regole, restrizioni, schemi rigidi che ci fanno scordare la nostra naturale tendenza all'ascolto. Anche nella pratica, mai come in questo periodo, mi sto accorgendo che quando si sale sul tappetino non si è mai nel presente: o si è ancorati al passato, concentrandosi sui vecchi blocchi o difficoltà, cercando di rimuoverli o superarli o si è proiettati nel futuro, pensando a come dovrebbe essere eseguita l'asana. E il presente? Il presente non viene mai percepito. Saliamo sul tappetino già come libri finiti con tanto di copertina (spesso rigida) che ci appesantisce. Per tutta la pratica rileggiamo il nostro cammino rimanendo ingabbiati in esso o cercando di rincorrere il futuro, che sarà ma che ancora non è. E invece dovremmo essere dei semplici fogli bianchi pronti ad accogliere le asana come se fossero pennellate di inchiostro che disegnano e modellano il nostro presente. Se riuscissimo a fare veramente questo ci accorgeremmo che molti blocchi, molte paure, molti limiti li creiamo ogni volta noi identificandoci con una vecchia idea di noi stessi. Se praticassimo solo rimanendo in ascolto, creando spazio tra passato e futuro, il presente riuscirebbe a manifestarsi con una presenza e intensità tale quasi da spiazzarci. Mentre pratichiamo, perdere la percezione dei confini del corpo staccando la mente, ci permette di assaporare tutte le connessioni e vibrazioni che ci avvolgono,  ricreando quell'unione con il Tutto che spesso scordiamo. Ci  rifugiamo ognuno sul proprio tappetino, inalzando barriere di invidia e gelosia o  indifferenza che però, a prescindere da che serie si stia facendo, crea divisione.
Riuscire a perdere i confini del finito (corpo, mente, volontà e tempo) nel presente per riunire il nostro respiro all'Infinito universale senza tempo è uno dei modi per percepire la nostra natura divina mentre pratichiamo. A volte è "semplicemente" rimanendo in ascolto che si scopre chi siamo veramente... 

lunedì 7 maggio 2018

In bilico tra fluidità ed esibizionismo

In quest'ultimo periodo sui social e non solo sta sempre più prendendo piede l'idea che nell' Ashtanga Yoga più si vada in verticale nei passaggi, più si faccia sfoggio delle proprie doti "aeree" più la pratica sia avanzata o addirittura corretta. Questo però crea un equivoco.
Non è la ricerca esasperata al controllo che rende un praticante avanzato, ma la sua capacità di mantenere sempre un respiro lungo e profondo indipendentemente da ciò che fa il corpo.
In una fase avanzata di pratica lo sforzo fisico viene completamente superato perché non si usano più i muscoli ma si sfrutta il circolo interno di prana per rimanere in posture faticose senza produrre tensione. Ma lo si applica nelle serie avanzate dove sono previsti movimenti e asana di quel tipo. Se si guardano con attenzione molti dei video in circolazione ci si accorge che la maggior parte dei praticanti usa la forza e non il prana per eseguire tali movimenti (c'è tensione nel corpo e nel respiro e le braccia tremano). Per ogni cosa c'è il suo tempo. Le serie dell'Ashtanga Yoga sono strutturate proprio per portare il praticante ad arrivare a fare asana molto faticose pur rimanendo nel respiro profondo e senza produrre stress fisico. Verticali applicate nella prima serie o peggio nei saluti al sole non esistono nella tradizione.
Quindi tutti questi eccessivi gesti atletici ricadono appunto nella ginnastica e non nella pratica Yoga. 
Il confine tra fluidità ed esibizionismo non è poi così sottile...
Partiamo dal presupposto che una pratica corretta preveda il rispetto del giusto numero di vinyasa.
ll fatto di andare in verticale nei saluti al sole prima di andare in chaturanga dandasana per esempio, non solo non rispetta il conteggio tradizionale, ma non contribuisce minimamente ad aumentare la fluidità della pratica.
Da un punto di vista muscolare, crea uno sforzo e una pressione che alla lunga contribuiscono ad irrigidire le spalle e la parte alta della schiena. Da un punto di vista energetico poi, blocca completamente il libero fluire del prana, cosa che invece in un saluto al sole fatto senza elementi che non esistono nella tradizione non avviene.
Questa tendenza a perseguire sempre di più la performance nella pratica purtroppo sta contribuendo ad inserire degli elementi che con la tradizione, il benessere e il giusto fluire del prana, non hanno nulla a che vedere.
Una pratica non può essere considerata avanzata solo per il numero di volte in cui si va in verticale o per quante uscite spettacolari dalle asana si è in grado di fare. L'intento delle uscite e delle entrate dalle posizioni è quello di mantenere una fluidità costante che non crei picchi energetici, ma consenta un sempre più uniforme e costante passaggio di prana nei canali energetici. 
Purtroppo molti praticanti, influenzati dai vari video che circolano in rete, pensano di avere una pratica da principianti solo perché magari non riescono ad andare in verticale in alcune uscite. La fluidità della pratica però è legata al respiro e non alle contaminazioni circensi che non hanno molto a che fare con lo Yoga. 
La pratica non dovrebbe essere una vetrina nella quale esporre le nostre qualità ginniche ma un percorso introspettivo che pian piano ci porti ad esplorare parti sempre più profonde di noi stessi. La forza, il controllo, la scioltezza fisica sono solo degli effetti collaterali e non l'obbiettivo da perseguire a tutti i costi...




lunedì 29 gennaio 2018

Lo Yoga è "Unione"?

Mai come in questo periodo nel mondo dell'Ashtanga yoga si respira aria di divisione. Sui social è accesissimo il dibattito tra la visione "ufficiale" di Sharat e quella degli esclusi dalla lista seppur validissimi insegnanti e in qualche caso "Maestri" . Il primo continua ad andare per la sua strada e in sostanza ha dichiarato che tutti quelli che non sono d'accordo con la sua visione possono chiedere la revoca  delle loro certificazioni/autorizzazioni (qualora ancora presenti).
Premetto che non voglio in questo articolo prendere le parti di nessuno, ma semplicemente esporre delle riflessioni.
Penso che il punto non sia chi abbia ragione ma cosa tutto questo fermento abbia messo in luce...
Se partiamo dal presupposto che lo Yoga sia Unione, tutti i comportamenti che tendono a criticare o addirittura quasi in modo sarcastico sbeffeggiare l'altra parte, aumentando la distanza tra le persone, denotano solo una mancanza di spirito yogico.
Non è importante fare la quarta serie o essere certificato o autorizzato da Sharat o da qualsiasi altra autorità per diventare automaticamente un Maestro di Yoga. Ci vuole passione, dedizione, amore per l'insegnamento (e non solo per la pratica), empatia, umiltà e pazienza. Mi fanno sorridere le liti, le gelosie o le antipatie tra insegnanti perché sono l'antitesi dello Yoga...
 Non è anche scontato che essendo il figlio o nipote di un Guru di conseguenza si abbia nelle vene una saggezza innata. Si deve comunque fare un percorso di Umiltà e comprensione...
Ciò che ci rende saggi o illuminati non sono le parole che scriviamo o pronunciamo in conferenze o articoli, quanti "followers" abbiamo o quanti like può vantare una nostra foto o un nostro video. Ciò che conta veramente sono i nostri comportamenti di fronte a un qualcosa che ci tocca da vicino e che va a minacciare la nostra calma apparente. Quindi indipendentemente da titoli, discendenze, esperienza o anzianità, se con le parole scritte o pronunciate, con i nostri comportamenti e atteggiamenti andiamo a creare distanze, a non capire che uno dei principi più alti è quello che tutto è Uno, non si sta camminando sul sentiero dello Yoga. Se non si riesce a percepire che in realtà se un'altra persona sta soffrendo, in parte quel dolore è anche nostro, e viceversa se è felice ci sta donando parte di quella sensazione, non si potrà mai percepire tutto l'amore che ci rende esseri divini. Divini perché anche se confinati e divisi in un corpo abbiamo la capacità di riconnetterci a quell'energia primordiale che solo la mente non percepisce.
Ciò che funziona nell' Ashtanga è il Metodo, perché non contaminato da nessuna vibrazione di invidia, fama di successo, ossessioni varie ma colmo di quell'energia fatta di sudore, devozione, condivisione e amore che molti praticanti e insegnanti nutrono ogni giorno salendo sul tappetino. Quindi il mio personale ringraziamento va a tutti quegli insegnanti e allievi vicini e lontani che ogni giorno con amore, pazienza e devozione contribuiscono a rendere l'Ashtanga Yoga un percorso che avvicina  e non divide... a loro io mi inchino!