mercoledì 8 maggio 2019

Il tocco che unisce



Gli aggiustamenti nell'Ashtanga Yoga sono una parte fondamentale della pratica. Purtroppo spesso sono interpretati male, prendendo in considerazione solo l'atto meccanico di riallineamento.
In realtà in un aggiustamento c'è ben altro.
Innanzitutto un insegnante che li padroneggia non è colui che fa chiudere più posizioni, magari a discapito dell'armonia e del rispetto del corpo che si ritrova ad aggiustare. 
Cosa fondamentale è infatti rispettare a livello fisico, emozionale e mentale la persona che si ha davanti. Altrimenti come un praticante che violenta il suo corpo perde di vista il precetto di Ahiṃsā , così un insegnante che "violenta" i corpi dei suoi allievi ottiene lo stesso risultato.
Per questo, come spesso succede, l'empatia è la caratteristica fondamentale per apprendere in maniera profonda quest'arte. E come in tutte le arti, la tecnica è il punto di partenza, non di arrivo.
 Un buon aggiustamento è sempre in ascolto dei messaggi che il praticante dà attraverso il respiro e il corpo, mentre si lascia aiutare in quella determinata asana. E partendo dal presupposto che ogni corpo, ogni persona sia un universo a sé, si capisce che ogni aggiustamento andrà cucito su misura e non adattando le persone ad aggiustamenti standard e molto spesso forzati e rigidi. Infatti anche in questo caso vale il concetto che è sempre lo Yoga che si adatta alla persona e non viceversa.
Capita infatti che, come alcune persone abbiano bisogno di sentire una spinta più decisa per abbandonarsi, altre invece avranno bisogno di più gentilezza, in quanto se sentono troppa pressione andranno in protezione.
Per ogni asana ci sono diversi tipi di aggiustamento e nessuno è giusto o sbagliato a priori. Si tratta sempre di rimanere in ascolto. Quando si riesce a staccare la nostra parte accademica e razionale che ci fa muovere le mani per schemi rigidi appresi con la mente, lasciandoci invece trasportare dall'istinto e dalla capacità di ascolto, l'aggiustamento diventa fluido, mai troppo invasivo e soprattutto contribuisce a non spezzare il flusso della pratica di chi lo riceve.
Le nostre mani, ad un certo punto, si muovono non per applicare schemi o tecniche, ma semplicemente entrano in sintonia con il corpo e ne aiutano il movimento.
Bisognerebbe quasi non far accorgere il praticante del primo tocco delle mani sul suo corpo. Se da subito usiamo troppa forza il risultato sarà solo quello di far irrigidire. Dovremmo essere capaci di entrare nel flusso energetico (e di conseguenza respiratorio) dell'altro col suo ritmo e non imponendo il nostro. Un aggiustamento deve aiutare anche il praticante a capire il movimento, non siamo lì solo per eseguirlo al posto suo.
E non dovremmo mai dare per scontato nulla. Se normalmente usiamo un tipo di aggiustamento per una persona in una determinata asana, non è detto che andrà ogni giorno bene. Le persone portano sul tappetino il loro stato emotivo, psicologico e ovviamente anche fisico. Quindi ogni giorno dovremmo entrare in risonanza con quella persona, essendo in grado di cogliere e decifrare di cosa veramente abbia bisogno in quel momento.
Per questo penso che un bravo insegnante debba riuscire a percepire gli altri rimanendo aperto a tutti i messaggi invisibili o quantomeno velati che un praticante può dare ogni giorno in Shala.
La nostra pratica passa attraverso momenti in cui ci troviamo di fronte alle nostre paure, debolezze e fragilità. In un aggiustamento cerchiamo un porto sicuro dove abbandonarci, affidandoci al nostro insegnante per superare insieme quel particolare momento. Una sala di tortura dove usare solo un' estrema forza a volte fa aumentare solo il senso di disagio.
In un aggiustamento ci deve essere spazio per percepire l'altro.
È un dialogo continuo che ci permette di evolvere entrambi.
Non smetterò mai di ripetere che in una classe i ruoli di insegnante e allievo si scambiano continuamente. 
Per questo è importante quando si fa un aggiustamento non mettersi sul piedistallo cercando di far percepire quanto si è bravi, spostando l'attenzione su noi stessi. Siamo lì per aiutare gli altri. Il nostro Io dovrebbe sparire...